Mimmo & Greg

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Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

mercoledì 13 settembre 2017

L'ARMINUTA

... Sono rimasta a guardare la fiammella un po' tremolante, forse per il mio respiro vicino. Non pensavo a niente di preciso, ma avevo dentro, oltre le paure, una forza luminosa come quel piccolo fuoco.
Donatella di Pietrantonio, L'Arminuta, Torino, Einaudi, 2017, pag.109.

Ho seguito il consiglio di Mimmo, e ho comprato e letto il libro della sua concittadina. Se non avessi visto quella foto in cui sorridono vicini, lei con il disco di lui tra le mani, lui con il libro di lei, e questo mi racconta che l'incontro non è stato casuale, non sarei stata così precipitosa. In genere, ma non credo di essere originale in questo, nel senso che è una cosa abbastanza ovvia, i libri mi chiamano, e lo fanno a volte anni dopo la loro uscita e spesso non hanno preso premi. Ho seguito il consiglio e ho fatto bene. Intenzionalmente non ho letto recensioni o interviste all'autrice. Qualcosa avevo letto in passato. Mimmo e Donatella hanno in comune Penne, la riservatezza (quella di lei la intuisci guardandola, il suo aspetto te la suggerisce), studi impegnativi affini e una doppia vocazione. Entrambi amano la notte, che favorisce la concentrazione, e fa fluire liberi i pensieri, sia che diventino canzoni, sia che diventino libri.


Ho appena finito di leggere L’Arminuta. 163 pagine consumate molto in fretta, tra ieri pomeriggio e stamattina. 163 pagine non sono tantissime, ma mi sono sembrate anche meno, tanto la lettura è trascorsa lieve, attenta, partecipe e alla fine inumidita da un po’ di commozione. Nel libro ho trovato temi a me cari, calati nella realtà di un borgo di campagna abruzzese, in cui una famiglia numerosa vive una vita faticosa e promiscua, resa ancor più complicata dal ritorno a casa di una figlia affidata piccolissima a una coppia di lontani parenti, che l’hanno cresciuta come una figlia e che lei credeva i suoi veri genitori. La ragazzina, l’Arminuta, appunto, termine che significa colei che è tornata, ha vissuto i suoi tredici anni in un'accogliente casa di città, vicino al mare, figlia unica, amata e accudita, con una vita serena e ordinata, tra successi scolastici, danza e piscina, lunghe estati al mare, gite e svaghi. A un certo punto accade qualcosa che sconvolge totalmente la sua vita, e la riporta d’improvviso nel nucleo familiare originario, con un padre silenzioso e manesco, una madre sfatta dalla fatica e dalle gravidanze, una sorella minore sgrammaticata, ma sveglia e scafata a dispetto dell’età, dei fratelli più grandi (uno in particolare, Vincenzo, il maggiore, ha un ruolo importante nell'economia del libro), che hanno precocemente smesso di frequentare la scuola e sono un po’ allo sbando, un fratellino piccolo che manifesta segni di ritardo. Una casa dove lo spazio è insufficiente e i ragazzi dormono tutti nella stessa stanza, in condizioni igieniche sommarie e nella più totale promiscuità, dove ognuno si è ricavato la sua nicchia per cercare di sopravvivere, dove la miseria non permette all’amore di germogliare.

L’Abruzzo povero e rurale (ma potrebbe essere la Sardegna povera e rurale, quella di un paese dell’interno, o di un quartiere degradato di una città) della metà degli anni settanta, dove niente sembra essere mutato da secoli, si insinua prepotente tra le pagine del libro, personaggio non umano, che non si limita a fare da sfondo ai personaggi veri, ma è attore protagonista. Mentre leggi vedi, come fosse un film. Senti i rumori, i cigolii dei letti, il pianto dei bimbi, lo schianto della mano paterna sul volto del ribelle figlio maggiore, percepisci gli odori, la povera zuppa che cuoce sul fuoco, l’afrore dei materassi e quello dei capelli non lavati, e senti sulla tua pelle il dolore procurato dai frammenti di vetro che ti si conficcano dentro.

I temi sono quelli grandi e universali, seppur calati in una piccola realtà e in un piccolo mondo: quello della maternità e in particolare di chi sia madre, quella che ci ha partorito o quella che ci ha cresciuto e amato, entrambe o nessuna delle due,. quello dell’abbandono, dell’intesa complice e della solidarietà tra sorelle, dei turbamenti adolescenziali, della rabbia, del dolore, ma anche della compassione, delle vite segnate da un destino crudele e annunciato, della rassegnazione, ma anche della speranza. 

L’Arminuta da un giorno all’altro sbarca in un altro pianeta, e non capisce perché le sia toccata quella sorte, quale sia il vero motivo del suo allontanamento da quelli che credeva i suoi genitori e dalla sua vita comoda in città. Tutti intorno a lei sanno, ma tacciono, perché reputano che sia ancora piccola per capire e accettare. Alla fine (è rispettato il canone dello svelamento finale, e la scrittrice non asseconda il lettore che vorrebbe saper tutto subito), sarà la sua sorellina, che sembra conoscere benissimo come va la vita, pur avendo solo dieci anni, a svelarle cosa sia accaduto. L’autrice, nel suo stile asciutto ed essenziale, senza retorica, ha la capacità di esprimersi con schiettezza, ma al contempo sa trovare le parole giuste per raccontare situazioni non facili da raccontare, e lo fa con tocco lieve. Di tanto in tanto una frase in dialetto, perché così si esprime la maggior parte dei personaggi, un dialetto che mi è diventato negli anni di questa frequentazione a distanza vagamente familiare. C'è la natura, ci sono le tradizioni popolari, c'è il cibo, c'è un personaggio secondario veramente ben descritto, la ieratica, vecchissima magara, scura come il tronco d'albero al quale è appoggiata.
Ci sono anche i denti, deformazione professionale, perchè il primo lavoro della scrittrice è l'odontoiatra pediatrica, e non ha potuto fare a meno di mostraci la bocca spalancata della piccola Adriana, che nomina sua dentista personale proprio l'Arminuta, dimostrando una grande tempra e un grande coraggio. 
E ora che ho letto il libro e consegnato ai posteri i miei pensieri in libertà, posso dediarmi alla lettura di interviste e recensioni...


2 commenti:

  1. Bellissima recensione con pensieri in libertà che invogliano alla lettura del libro.
    mari

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