Mimmo & Greg

Mimmo & Greg
Grazie Mariangela, grazie Mimmo!

giovedì 22 dicembre 2011

UN PADRE E UNA FIGLIA

La foto dell’anticipazione mostra un libro e un Cd, posati su una chitarra. Tutti e tre gli oggetti raccontano di Stefano Rosso. La curiosità di conoscere qualcosa di più su questo cantautore, del quale avevo ricordi lontani e ancora nelle orecchie le canzoni più note - a distanza di tanto tempo - e una rapida incursione in un sito a lui dedicato dopo la sua morte, mi è venuta quando si è verificata quella coincidenza di cui avevo parlato in passato: Mimmo scriveva qualche riga su Stefano e io aprivo a caso una pagina di un libro sui cantautori, e voilà, il caso mi faceva trovare di fronte la scheda a lui dedicata. Mi sono messa a cercare e ho trovato notizie relative alla recente pubblicazione del libro Che mi dici di Stefano Rosso?Fenomenologia di un cantautore rimosso (Mario Bonanno, Stefania Rosso, Che mi dici di Stefano Rosso? Fenomenologia di un cantautore rimosso, Viterbo, Stampa alternativa, 2011). Tre i motivi principali per cui l’ho comprato: la testimonianza della figlia Stefania, il Cd accluso al libro, e un contributo di Mimmo all’interno del libro. Sono sempre sensibile ai rapporti tra padri e figlie, per motivi del tutto personali e del tutto ininfluenti in questa sede; me ne interesso sempre, ne sono attratta e intenerita. Il Cd non poteva non attrarmi, perché prometteva l’ascolto di un concerto di Stefano, tenutosi al Folkstudio nel 1993. Quale migliore occasione per conoscerlo un po’ meglio? Infine il contributo di Mimmo. Non credo di aver trascurato niente di scritto su di lui, o in cui comparisse un suo contributo, anche modesto. Mi sono portata a casa libri di piccole case editrici che vorrei, ma non credo abbiano avuto grandi vendite, e ho perfino scovato e letto un libro in cui Mimmo era presente solo nella dedicatoria.

Esco, dunque qualche giorno fa, e trovo una copia (unica) del libro su Stefano Rosso. Lo apro subito per scoprire dove sia il Cd, che a tutta prima non svela tracce di sé, e lo trovo nella sua custodia di cartone in mezzo alle pagine. Mi metto a curiosare: la parte più strettamente giornalistica, a cura dell’autore di Sognadoro e altre storie – nota biografia di Mimmo che ha avuto il suo imprimatur - a cui evidentemente le storie piacciono molto, perché compaiono anche in altri titoli dedicati ad altri autori: anche nel libro su Rosso c'è un capitolo intitolato Lo spinello e altre storie (più o meno disoneste). C’è tutta la discografia di Stefano opportunamente commentata dall’autore, ci sono le notizie biografiche e artistiche essenziali date con sobrietà, perché l’autore proclama la sua distanza da chi, nello scriverne, fa le pulci ai cantanti.




La parte per me più interessante: Stefano nei racconti affettuosi della figlia Stefania, che descrive suo padre come un uomo dolce, mai aggressivo, passionale, e sincero, che certo commetteva degli errori, ma aveva la rara dote di saperlo ammetterlo. Uno che nelle persone, come qualità saliente, apprezzava la bontà. Stefano artista appassionatissimo della chitarra, (vederlo cambiare le corde era uno spettacolo) esperto in quella particolare tecnica denominata fingerpicking, (chiedete a Mimmo e a Carpi, ve la illustreranno come si deve) Stefano privato e quotidiano alle prese con i fornelli; i ricordi delle giornate trascorse al mare con la famiglia e i confronti delle rispettive abbronzature; la piccola vacanza insieme a Londra; i dubbi sulla sua capacità di essere un buon genitore, perché non lasciava grandi beni materiali ai figli. La netta convinzione, al contrario, di Stefania di aver ricevuto in eredità un patrimonio immateriale ben più considerevole di case e denaro. La selezione di immagini che ci presentano Stefano nel corso degli anni, da quelli della gioventù, fino a quelle dell’ultimo concerto del 2008, i baffoni nerissimi della gioventù, e i baffi più corti e imbiancati degli ultimi tempi. Ci sono anche racconti e riflessioni di Stefano, legati sia a vicende artistiche, sia a vicende personali, anche qualche poesia.

Infine i contributi degli amici, produttori, giornalisti, musicisti e cantautori che lo hanno conosciuto e frequentato, tranne uno, Lolli, che personalmente non lo ha mai conosciuto, ma riesce a scrivere su di lui un pezzo sobrio e coinvolgente. Ciascuno degli amici ne ricorda le caratteristiche, gli aspetti salienti e una serie di episodi vissuti insieme.



Mimmo esce un po’ da questi schemi e ci mette di fronte a una possibile serie di scatti fotografici o di sequenze di film che raccontano una canzone di Stefano. Ricorda l’amico senza citare ricordi comuni, in un modo a lui congeniale. Avrei riconosciuto che era un pezzo suo anche se fosse stato anonimo.



Il contributo di Mimmo è breve, per cui lo posso riportare integralmente.


Il treno avanza lentamente e piano si arresta nella piccola stazione di Roma Trastevere. Faticosamente, annaspando tra tre-quattro enormi bagagli un uomo scende traballando sul predellino. Si guarda intorno in cerca di qualcosa, di qualcuno. Cerca un orientamento di sé, o la conferma di qualcosa. Accende una sigaretta nell’attesa di prendere l’uscita, circondato dalle sue valigie. Dopo trent’anni passati a lavorarsi la vita in America, riconosce il cielo della sua città. È felice. Nel via vai frettoloso della piattaforma un uomo gli frena davanti, lo guarda, indugia, lo scruta, gli dice: “A Giovà,ma che fai, parti?”.
Ecco, questo potrebbe essere il soggetto di un film, o la trama di un romanzo. È invece lo svolgimento di una poco conosciuta canzone di Stefano Rosso. Ma è un po’ come la sua vita. Metteteci attorno una erre moscia che stona dentro un parlare “romanaccesco”, una tonnellata di tic, una sotterranea genialità, una barbetta confusa su una faccia a metà tra lo zingaro e il cortigiano della Roma papalina, uno sbattere ritmico e continuo di ciglia, una fragile vulnerabilità, il vino, un disorientato talento umano, i lupini, le coppie, Via della Scala, “mio padre diceva…non ricordo più”, due amici la chitarra e lo spinello, la continua urgenza di qualcosa, l’odore delle osterie, gli anni Settanta, chissà cos’altro ancora e voilà: “A Ste’, ma che fai, parti?”.

Infine l’ascolto del Cd. Canzoni che non avevo mai sentito prima, come la canzone dei mesi, che in realtà s’intitola Canzone per un anno, tema che attrae i cantautori, oppure la canzone nata in una pensione milanese, scaturita dalla provenienza di strani rumori dalla stanza a fianco (Gina blues). Poi quella in cui racconta con sincerità e ironia di un periodo non proprio positivo della sua vita, quella dei medici burloni*** (Neurologico Reggae). Le altre più note, qualche pezzo non suo. Qualche piccolo racconto di Stefano tra una canzone a l’altra, con quella sua voce così facilmente riconoscibile, al pubblico convenuto al Folkstudio nel 1993, epoca della tarda maturità del locale che chiuse l’attività nel ’98, ma che è rimasto sempre aperto nella testa e nel cuore dei ragazzi che lì si sono incontrati e hanno in molti casi mantenuto rapporti e legami; spesso il collante è stata proprio l’esperienza comune vissuta lì dentro.


Nel libro anche l'altra figlia di Stefano, Manù, ricorda il padre, rivolgendosi a lui in una sorta di lettera trasudante affetto, complicità e ironia e nostalgia.


Ho letto il testo di una canzone di Stefano (non presente nel Cd) che si intitola Odio chi. Qualche volta faccio il gioco del “Saremmo potuti andare d’accordo, o potremmo andare d’accordo io e...? avremmo potuto intenderci?" …L’altro è spesso uno del passato remoto, o qualcuno che esiste ma non conoscerò mai, o qualcuno che ho conosciuto ma non faremo mai nemmeno un pezzetto di strada insieme. L’ho fatto un pochino anche con Stefano basandomi sui versi, che mi sono molto piaciuti, di Odio chi…Forse non mi avrebbe odiato, ma un dubbio mi è rimasto: perché odiare chi ha un gatto, poveretto, senza coda? Si tratta di un mero fatto di rima o c’è qualcosa dietro? Essendo parte in causa, in quanto mamma putativa di un gatto con la coda mozza (storie di soprusi subiti nella prima infanzia, prima di approdare al caldo nido dove da anni vive) me lo domando, da buona scrittrice che fa le pulci ai cantanti: perché? Mah!

Ecco il testo di Odio chi
Odio chi va al mare la domenica, io neanche il lunedi


odio chi va a spasso con la moto mentre io rimango qui
odio chi ha il proiettore in casa per veder film svedesi
odio chi si compra un'automobile una volta ogni sei mesi.
Odio chi compra i calzoni come i miei ma a molto meno
odio chi quand'è che parto sta a fregarmi il posto in treno
odio chi ha una bella moglie che gli smania delle voglie
e siccome l'ha il mio amico, cosa faccio e che le dico?
Odio chi prende a calci i cani e a casa ha il pesciolino in vasca
odio chi si sposa e da una mano al cuore e l'altra sulla tasca
odio chi continua a raccontarmi che si è fatto la casetta ma così..."
mangiare poco e stare attento ad ogni sigaretta".
Odio chi va a messa la domenica e poi picchia i figli
chi in finestra sta a sparlare mentre sta innaffiando i gigli
odio chi mi dice quando che mi incontra per le scale
"non ti vedo tanto bene, ma che c'hai, ti senti male?".
Odio chi sta sempre a raccontarmi tutti i film prima visione
odio chi fa sciopero perchè l'ha detto la televisione
odio chi è un tipo serio solo quando sta telefonando
odio chi mentre sganascia un pollo "poverino il terzo mondo".
Odio chi fischia a un concerto, chi impazzisce per la moda
odio chi ha il passato incerto e chi ha il gatto senza coda
odio chi ha un miliardo in banca o un futuro senza rischi
chi è tranquillo sulla panca e chi non compra i miei dischi



*** Si tratta di una mia evidente imprecisione: questi "medici burloni" che mi sono tanto piaciuti si trovano in "Canzone per un anno".

lunedì 19 dicembre 2011

ANTICIPAZIONE





Mi piace pensare che gli estimatori di Folgorata, o gli estimatori di Mimmo (in alcuni casi le due categorie coincidono) prima di affacciarsi nella dimora virtuale dell'agiografa, possano domandarsi: "Vediamo che s'inventa oggi!" - perchè di fatto me ne sono inventate eccome, non nel senso che ho raccontato balle, ma nel senso che - per non recidere l'esile filo e per poter ancora scrivere - (il senso di questo blog non è esattamente quello di erigere il monumento al Cantante, o non solo, giusto per capirsi) le ho escogitate davvero tutte. La foto ha lo scopo di introdurre l'argomento del prossimo post. Alla prossima volta, certa che a Mimmo (Hi, Professor!) non dispiacerà se parlerò di un suo vecchio amico, ma tanto, come al solito, c'è di mezzo anche lui. Meno male che non volevo erigere monumenti. Speriamo che questo monumento non sia come il Colosso di Rodi... Io che l'ho messa tutta perchè avesse salde fondamenta, tuttavia...



Au revoir.

domenica 4 dicembre 2011

COMMEMORAZIONI

Me ne sono ricordata stasera, mentre preparavo in tenuta da casalinga, con tanto di grembiule, una torta al cioccolato e caffè. "Accidenti" - mi sono detta - "Se continuo a preparare due torte ipercaloriche alla settimana, non riuscirò più a entrare nel mio vestito nero e tortora, che già fatico ad infilarmici..." Le mie tortine sono sufficientemente buone, senza che per questo io possa considerarmi chissà quale pasticcera, e senz'altro più sane delle merendine e dei biscotti acquistati, che anche quelli buoni, hanno tra gli ingredienti misteriosi oli vegetali e altri intrugli. Continuerò a prepararle, e poi cucinare mi rilassa molto: nel frattempo penso e ascolto la radio, o un po' di musica. Le canzoni di Mimmo mi frullano sempre in testa, però ormai la terapia che prevedeva l'ascolto compulsivo di tre album al giorno, ha ceduto il passo a ascolti più meditati e più diluiti nel tempo. Oggi ho messo su Delitti perfetti, mentre sbattevo le chiare a neve e mescolavo con il cucchiaio di legno, che in questo sono all'antica, massaia tradizionale. Ascoltavo Povero me, Delitti perfetti, Gli occhi... Due ore che poi a ripulire tutto me ne sarebbero occorse altrettante... e Dicembre... Mi sono ricordata che oggi è l'anniversario. La prima volta, quella che sono andata al concerto del Cantante nella fredda città del nord, tutta sola, col mio vestitino a righe nere e tortora, che mi stava proprio a pennello ma non si vedeva perchè avevo addosso un piumone, sempre nero, perchè da Mimmo si va in nero, e quando il concerto stava per finire, al bis, ho guadagnato quatta quatta un posto vicino vicino, perchè temevo che se ne andasse via, e di non poterlo neppure salutare. Ubriaca fradicia senza aver neppure annusato da lontano una bevanda alcolica, l'ho acchiappato mentre stanco morto e morto di sete prendeva la via del corridoio; credo di avergli rapito un braccio in una morsa decisa: "Oh, non scappare, che ho sfidato i ghiacciai, per venire da te, Cantante!" Egli, che in gioventù scherzosamente lamentava di non trovare ad attenderlo, alla fine di un concerto, bande di ragazzine scalmanate, si è trovato di fronte una cinquantenne in evidente stato confusionale. Il resto è storia, e soprattutto esercizio di scrittura.




Questa è una di quelle fasi in cui mi pare di aver del tutto raschiato il fondo del barile, ma non dispero, perchè magari, domani, chissà, mi soccorrerà uno spunto interessante.




Il nostro Cantante dice che morde il freno, io lo mordo con lui, ma se tanto mi dà tanto, per scrivere qualcosa di veramente inedito dovrò attendere, se va bene, il prossimo autunno, e saranno momenti felici. La prossima primavera potrò rinverdire i fasti goldeniani, e mettermi a piangere nel vedere il DVD, se ci sarà...




Nel frattempo... qualcosa da dire ci sarebbe, ma ci sono delle attività di cui Mimmo non dà notizia alcuna nei suoi mezzi di informazione ufficiale, e io lo interpreto come un'indicazione e mi adeguo. Evito di evidenziarle, però seguo, che le agiografe, seppur non ufficiali, devono conoscere tutte le gesta del loro santo, e se non nel blog, nell'intimo delle loro stanze segrete, riflettono su alcune cose, magari quando preparano le torte.




Mi hanno detto (ma prima non mi riferivo a questo) che Mimmo ha imparato da un amico newyorkese la cheesecake più buona del mondo, però potrebbero avermi rifilato una bufala. Io se non vedo non credo e non ho visto ne' trovato traccia alcuna di preparazioni di cheesecake. Secondo me preferisce una buona torta di ricotta, di quelle delle sue parti.

Ho invece trovato in una intervista di tanto tempo fa, rilasciata dopo un tour lungo e impegnativo, un Mimmo molto scherzoso che dichiarava di non vedere l'ora di potersi dedicare alla routine domestica, al pagamento delle fatture e al cambio di stagione. Bugiardo! Non per le fatture, per il cambio di stagione. "Se mi cercano per un concerto all'Olympia, dite che sono impegnato a sistemare i sacchetti di lavanda e a insacchettare le giacche nere estive. Chiamino dopo, ho delle priorità."




Ho scoperto, ma già da un po', che, come si usa dire "tiene per la Juve". Mamma mia, spero che non sia "un maschio italico tradizionale" di quelli che quando gioca la squadra del cuore, guai a disturbarlo... ma glielo avranno proposto, i suoi amici calcio-cantanti, di giocare nella Naz-cant.? Maschio italico tradizionale, non necessariamente nel senso deteriore del termine, un po' lo è, a mio avviso, ma non mi avventuro in quello che per me potrebbe rivelarsi un ginepraio.





Scriverà ancora qualche poesia, Mimmo, in quelle sue notti lunghe lunghe che quando io mi sveglio alle tre del mattino a prendere il primo caffè (sono come le suore ortodosse che si levano prestissimo, ancora prima delle Carmelitane coltissime e fanno almeno tre colazioni) lui è ancora nel bel mezzo delle sue molteplici misteriose attività. Questione di abitudine e di attitudini.




Talvolta mi ritrovo a pensare, nel leggere un libro o vedere un film, se potrebbe essere di suo gradimento. Da poco ho rivisto Smoke e ho pensato: "Gli piace senz'altro, non solo per la musica del suo nume con la voce roca." Poi magari non è così, ma tanto è un gioco, tutta questa storia, un gioco molto serio, come spesso i giochi. Tra tutti i "giocattoli" con cui mi sono dilettata, forse questo è uno dei più belli, proprio per questa sua natura distante, inafferrabile, intangibile. In fondo a me delle cose materiali è sempre importato poco.




E infine, se permetti, Cantante, ti faccio un regalino di Natale, un po' in anticipo, che poi magari sei troppo indaffarato e non hai tempo per aprire il pacchetto. http://www.youtube.com/watch?v=61pp51kxvVM

mercoledì 23 novembre 2011

RICETTA D'AUTORE



Giunto è l’autunno, in certe lande è sceso già l’inverno, e cosa c’è di meglio che gustare una bella zuppa fumante? Se la zuppa in oggetto è una ricetta tradizionale abruzzese cucinata dal nostro amato cantante, col grembiule e col cappello da cuoco, il meglio potrebbe assurgere al rango di meglio assoluto. La ricetta è cascigni e fagioli. Nasce come piatto contadino, povero. I cascigni sono una sorta di cicoria selvatica, di facile reperibilità. Se non è proprio il tarassaco, è qualcosa che gli assomiglia molto. Assai utilizzato in Abruzzo in diversi piatti tradizionali, zuppe e non solo.

Mimmo (mi corre l’obbligo di dire che sto dando libero sfogo alla fantasia, ma il mio racconto potrebbe trovare riscontro nella realtà) indossa un paio di comodi pantaloni di velluto, una camicia di flanella a quadrettoni, un cappellaccio da brigante, e di buon passo (due passi al secondo, falcata lunga) va a cogliere i cascigni. Ne riempie due bei bustoni. Li porta a casa e ordina (con gentilezza) alla fantesca, quella che vorrei tanto sostituire quando andrà in pensione, o almeno affiancare come avventizia, di lavarli per bene. Esce di nuovo, questa volta con un bel cesto, e va nel bosco a cercare funghi. A lui piacciono molto gli spinaroli, che io non sapevo manco cosa fossero. Per quello devo ringraziare Guido Piovene, che nel suo Viaggio in Italia, ci racconta “Se ci spingiamo fra i monti, a Penne potremo mangiare quei cibi tradizionali che ormai scompaiono, i maccheroni alla chitarra, le minestre condite con erbe aromatiche inconsuete, ed i piccoli funghi spinaroli. Si scovano nelle montagne in cespi fitti nascosti da un velo di terra e segnalati dal rigonfio.” Piovene scriveva nel 1957: pare che ora gli spinaroli, così detti perché nascono in terreni dove crescono pruni e rovi, di cui sono simbionti, siano assai più rari di un tempo. Pare anche che inizino a nascere per San Giorgio, il 23 aprile, e quindi se Mimmo ci va in questa stagione, in giro per il bosco in cerca di funghi, penserà a quanto sarà bello per San Giorgio imbattersi in una famigliola di spinaroli (calocybe gambosa, o anche lyophillum/Tricholoma georgici) ma si accontenterà di altre varietà, altrettanto buone per condire gli spaghetti alla chitarra, che non è come potrebbe pensare qualcuno quella mitica comprata a Perugia, con la custodia di cartone, ma un apposito strumento di legno cui sono fissati dei fili d’acciaio, (o altro metallo?) sui quali si stende la sfoglia di pasta. Esercitando una pressione con il mattarello, si ottengono degli spaghetti a base quadrata da condire con ragù, in particolare di castrato, che a Mimmo piace molto, o con i funghi, o in altro modo. Io ad esempio, a Penne, ho mangiato gli spaghetti alla chitarra con zucchine e funghi. La pasta era squisita, ma i funghi erano, ahimé, champignons, che nei ristoranti dovrebbero essere vietati: meglio non preparare piatti a base di funghi quando si hanno a disposizione solo quelli coltivati. Allo stesso modo dovrebbe essere vietato utilizzare la cosiddetta polpa di granchio, o surimi, un impasto di scarti di merluzzo, latte e coloranti, nelle trattorie e ristoranti delle città di mare, la mia in testa. Io mi infurio sempre quando ordino un’insalata di mare, o un risotto alla pescatora, e mi trovo questo succedaneo tra gli ingredienti. Il ristorante è depennato dalla mia lista, ma così facendo, alla mia portata, ne restano sempre meno. Molti miei concittadini mangiano tutti contenti e si stupiscono della mia indignazione.

Tra una raccolta di cascigni, e una di funghi, e una mia digressione, si è fatto un po’ tardi. Mimmo deve rientrare: lo attende l’accogliente cucina, un certo numero di ospiti in carne e ossa, e poi noi, ospiti virtuali della sua mensa. Ve l’ho fatta desiderare, la zuppa, intenzionalmente, solo perché la possiate gustare di più.





Eccola, così come lui l’ha riferita a un giornalista, spero non di quelli che chiedono a tutti i personaggi con un minimo di notorietà di dargli una ricetta: meno male che l’ha fatto con Mimmo. «La mia ricetta del giorno? Cascigni e fagioli, una specie di zuppa che si fa con questo cicorione selvatico che va bollito in acqua salata, mentre in un'altra pentola cuociono i fagioli. Si uniscono a metà bollitura, si aggiunge un soffritto di olio, aglio e peperoncino e si ultima la cottura. Una favola col pane croccante e un filo gentile d' olio nuovo». Detta così è semplice semplice, poi Mimmo ama la sintesi. Qualcuno (io pure in genere, in preparazioni analoghe, anche se non ho mai fatto una zuppa di cicoria, procedo così) lessa i cascigni, li scola, conserva l’acqua di cottura, li fa rosolare nel soffritto già imbiondito, unisce i fagioli parzialmente cotti, aggiunge l’acqua di cottura e porta a termine la cottura. Noi però ci atteniamo alla ricetta del dottore, che va da sé, di ricette si intende molto. Mi raccomando il filo d’olio quando la zuppa è già servita nel piatto, con una bella fetta di pane abbrustolito, e che sia olio delle colline aprutine. Mimmo ci ricorda che ce ne solo altri, oltre quelli di Loreto e Pianella, i più noti. A Loreto c’è un bel museo dell’olio, o meglio della cultura olearia, e la visita guidata è curata da una simpatica e preparata giovane signora che si chiama Sandra. Non dimenticate di accompagnare la zuppa con un bel Montepulciano d’Abruzzo, magari uno di quelli del progetto Bellavita, così sarà un momento di perfetta letizia.

E ora Mimmo, va benissimo rilasciare qualche lunga intervista, va bene avere tante idee in testa, ma ti imploro, vai oltre le dichiarazioni programmatiche, quaglia, produci: smuovi un po’ le acque, che mi servono spunti di scrittura. Altrimenti a questo punto, non mi restano che due vie: o continuare con le voci del dizionario, e sarò costretta a tirare in ballo pure il calcio, o raccontare la tua esistenza nel liquido amniotico; anzi, ora che ci penso, potrebbe essere un post davvero interessante…

mercoledì 16 novembre 2011

...DONNE!

“La donna è il migliore amico dell’uomo”. Questo è un noto aforisma del nostro amico dal multiforme ingegno, coniato sul calco de “Il cane è il miglior amico dell’uomo”.
Di cani abbiamo già parlato la scorsa puntata: li tiene in gran conto, quindi l’aforisma, spiritoso, conferma la sua considerazione e il suo affetto per le donne. Pare che l’aforisma faccia molto arrabbiare certe signore amiche di famiglia. Ecco come visualizzo la scena: Mimmo rientra a casa, tutta perfetta e ordinata, anche se lui, quando riceve i giornalisti, si scusa sempre per un inesistente disordine. Nel salotto un garrulo gineceo: un gruppo di signore prende il tè, che da quelle parti è molto sontuoso. Ha con sé tutto il suo inseparabile corredo di borse e valigette, di medico e di cantante; sorride e saluta, indi esclama: “La donna è il miglior amico dell’uomo!” Le tranquille signore si trasformano in Erinni, e il povero Mimmo diviene bersaglio vivente di fette di torta, pasticcini, e piccoli toast. Così impara. Veramente qualche pasticcino riesce ad acchiapparlo con un balzo atletico da portiere in parata: peccato sprecare tutta quella grazia del cielo.

Ci sono alcune figure femminili ricorrenti, nei racconti di Mimmo legati al passato, dalla maestra di pianoforte, che sembra uscita da un romanzo ottocentesco, descritta rossiccia e con le basette, assai somigliante all’Alfieri, (spero non abbia eredi che possano dispiacersi per queste considerazioni) alle due zie, l’una paterna, l’altra materna, spesso menzionate da lui: una è la zia Elsa, e la seconda la zia Memena. La prima, biologa, che lui ritrae in casa intenta a trafficare con certi esperimenti sugli insetti, finalizzati agli studi per la tesi di laurea, gli ha fornito, insieme con altri membri della famiglia, l’input scientifico, e l’accesso a una ricca biblioteca di discipline scientifiche. La seconda, la famosa zia Memena, era la proprietaria del cinema di Penne, dove il piccino e poi il ragazzino, si faceva le ossa di “ardente cinefilo.” Della biblioteca filosofica abbiamo già detto in diverse occasioni. Un’altra figura femminile familiare è stata tratteggiata con molta delicatezza da Mimmo in Canzone a mio nonno: "la più bella della città, sempre fedele e sempre riservata". Bellezza, fedeltà e riservatezza sono qualità femminili che sicuramente apprezza. Quasi si teme di continuare il discorso per paura di profanare un ricordo che appare quasi sacro. Mi pare che queste signore gli abbiano lasciato un’ottima eredità, un ricco patrimonio di ricordi e di valori.

Ne avrà incontrate tante, di donne, nel corso della sua vita e della sua attività artistica e professionale, e avrà intrattenuto rapporti d’affetto e di stima, come tutti. Al pari avrà avuto qualche rapporto un po’ conflittuale. Non credo che abbia applicato loro favori o sconti o privilegi particolari, per il solo fatto che fossero donne, ne’ per converso, discriminazioni per lo stesso motivo.
Le collaborazioni artistiche al femminile ci sono state; ricapitolando, quasi un intero album (sette canzoni) e una tournée con Gigliola, un duetto con Paola e uno con Andrea, all’interno di Aria di famiglia, rispettivamente Il suono delle campane e Due amiche; i testi di due canzoni scritti per lui da Raffaella (Fandango e Arte moderna). Un vecchio desiderio di collaborazione mai realizzato con una cantante straniera di fama mondiale, (Marianne Faithfull) l’auspicio di una collaborazione con la sua cantante italiana preferita, che finora non si è concretizzato. Non sono qui a incalzarlo perché ciò accada. Se arriverà l’occasione giusta forse lo farà, quando magari chi lo attende ci avrà messo un macigno sopra. Tutte cose già dette, che non mi dispiace rispolverare. Mi sono studiata a fondo l’album Tuttintorno, con l’ascolto di tutte le canzoni di Mimmo per Gigliola. In passato mi ero limitata a quelle che canta anche lui. Continuano a venirmi i brividi quando ascolto Odor di maggio e Come viviamo quest’età. La canzone più locasciulliana mi sembra Le storie. Pagherei oro per sentir Mimmo cantare Io sono tua, che nel caso diventerebbe Io sono tuo. C’è qualche musicista donna che lo accompagna nei concerti, o nei dischi, da sola o inserita all’interno di un ensemble di plettri, o di un quartetto d’archi. Si ricorda qualche partecipazione di altre signore della musica ad alcuni suoi concerti… Altro non mi pare di ricordare, ne’ di altro mi pare di aver trovato tracce.

In una vecchia intervista Mimmo faceva riferimento all’assenza di teen-agers più o meno scalmanate pronte ad attenderlo dopo i concerti. Il tono dell’affermazione era alquanto scherzoso, e non pareva particolarmente turbato da quella assenza, della quale io non sono tanto sicura. L’intervista risale agli anni d’oro, quelli della grande notorietà, in cui tuttavia un pubblico composto da migliaia di persone, si alternava a un pubblico più d’èlite nelle prime tournées teatrali. A quei tempi, anche per sua stessa ammissione, era molto più serioso (aggettivo che racchiude un concetto che non mi piace: meglio serio che serioso) e saggio di quanto non dica di essere ora. Lo affermo sempre anch’io: ha acquistato leggerezza. Lui, con una punta di scherzoso autocompiacimento, usa definirsi ora un po’ scapestrato, o forse scavezzacollo. Serio lo è sempre.

Nonostante il sorriso e la cordialità forse non invitava, come non invita, a certe manifestazioni d’affetto e di apprezzamento troppo marcate, ma a atteggiamenti più composti di affettuosa stima e considerazione, ai quali in qualche caso ci si potrebbe adattare, pur desiderando modi meno cauti di esternare, per non urtarne la riservatezza e metterlo a disagio. Almeno a me sembra così.
Qualche sconsiderata in grado di non contenersi sarà capitata anche a lui: fa parte del gioco ed è da mettere in conto.

Al di là di tutto ciò, Mimmo gode di un largo seguito femminile, perché le sua canzoni e anche il suo modo di essere e di porsi, ben si adattano a una certa sensibilità marcatamente femminile, romantica, sottile, tesa ad andare al di là di ciò che appare, e incline a dare molto significato a ciò che raccontano non solo le parole, ma anche gli sguardi e il non detto. Le sue estimatrici leggono negli occhi di Mimmo cose che le sue parole non sempre esprimono, e che magari non vorrebbero neppure esprimere; non dimentichiamoci che l’immaginazione è un’altra spiccata caratteristica femminile: forse leggiamo in lui cose che non pensa nemmeno, ma ci piacerebbe se le pensasse.

Per quanto riguarda le sue canzoni, in esse c’è una costante presenza femminile, a volte evidente, altre più nascosta. In passato avevo dedicato all’argomento un post dal titolo Cherchez la femme. Ecco il link se qualcuno volesse leggerlo. http://folgoratadaunapiccolaluce6.blogspot.com/2009/11/cherchez-la-femme-da-nadia-lucyfigure.html

Lo rileggerò anch’io, per vedere che effetto mi fa tornare su me stessa dopo tanto tempo, se fa parte di quelli che mi fanno venire voglia di nascondermi, o se riesce a suscitarmi un moderato autocompiacimento.



Tre esercizi facili facili.



1)Leggere il testo della canzone



LE STORIE



Tutto qui, una storia se ne va


mentre già


le altre complottano.


Conterà


Dio lo sa se conterà


un'ora in più


un giorno in più


un anno in più


per riconoscerle.


Lascia che tutto sia così.


Lascia che adesso tutto rimanga qui.


No, non le disperdere


non lasciarle andare via.


Tutto qui, controluce rivedrai


tutto il viavai


che ti gira intorno.


Passerà


come un fiume passerà


un'ora in più un giorno in più


un anno in più per riconoscerti.


Lascia che tutto sia così.


Lascia che adesso tutto si fermi qui.


No, non le confondere


non dimenticarle lì.


No, non le confondere


non dimenticarle lì



2) Ascoltare la canzone cantata da G.C.







3) Immaginersela cantata da un uomo, uno a caso: il suo autore.




La prossima volta cercherò di non sentire le voci, prometto, ma sarà difficile resistere al canto delle Sirene: ci ricascherò presto.

martedì 8 novembre 2011

VEDI ALLA VOCE CANE




Ancora voci da esplorare, in una sorta di piccolo dizionario dove non è condizione essenziale l’ordine alfabetico, ma casualmente in questo caso, lo rispetta: dopo i baci, viene il cane.

Che tra Mimmo e i cani ci sia un’ottima relazione me lo attestano alcuni fatti certi e le mie solite intuizioni, imprescindibili. Intanto l’ho visto, un cane, nella sua casa di campagna. Un bel pastore tedesco dall’aspetto tranquillo, inquadrato per qualche secondo dalla telecamera, unico essere vivente ripreso in quella circostanza, a parte il padrone di casa-anfitrione e la conduttrice. Molto telegenico, si mostrava a proprio agio e magari avrebbe gradito dire la sua. Non gli hanno chiesto niente e, riservato per l’educazione ricevuta, non si è intromesso.

C’è una nota canzone che si intitola proprio Il cane. La troviamo dentro Uomini, e siamo nel 1995. Ecco come Mimmo, in una intervista a Raro, (N.59, ottobre 95, pag.18-21: un bell’articolo monografico che ne ripercorre le gesta; accade anche oggi e chi scrive di lui, ha a disposizione un nuovo strumento da consultare, dove trova tutto con poca fatica) racconta la canzone. “Il cane ha un significato importante in questo disco, perché al di là dell’immagine del cane stesso, è una metafora sul cane zoologico, biologico, amico dell’uomo, e il cane invece che ti morde, che ti fa male, quello che chiami cane in modo spregiativo. Quando si deve offendere qualcuno gli si dà del cane; il cane poi ha un codice che l’uomo non ha, ma l’uomo può avere a volte una crudeltà e malvagità maggiore, può infierire e far male più di un cane. Questa è la chiave del brano”.






Proprio non riesco a capire perché si debba utilizzare come epiteto offensivo, nei confronti di qualcuno incapace o cattivo, anzi crudele, il termine cane. I cani non se lo meritano.

Al di là della chiave del brano svelata dal cantante, che in altre interviste è andata ancora più sul particolare, io mi vorrei soffermare sull’aspetto più immediato, e cioè sul rapporto di intesa complice e giocosa tra Mimmo e il suo cane di allora, o di altri cani che realmente gli hanno fatto compagnia in vari momenti della sua vita, e ai quali ha dedicato tempo, giochi e affettuose cure e attenzioni.

Un amico di Folgorata, le fece a suo tempo una soffiata: su un numero di Topolino di molto tempo fa, uscì un’intervista tutta imperniata sul rapporto tra Mimmo e Cane di Mimmo. Appena ricevuta la notizia, mi si sono parate davanti alcune paginette del giornaletto, mio compagno assiduo d’infanzia, e non solo, corredate di foto: potrebbe essermi realmente passato tra le mani quel numero, chissà, o potrebbe essere semplicemente un falso ricordo, scaturito dalla segnalazione. Mimmo ha simpatia per gli abitanti di Topolinia e ancor di più di Paperopoli; ha fatto proprie alcune delle espressioni più felici dei personaggi: è cosa nota.

L’amico di Folgorata è sempre tale, anche se la frequenta meno per validi e giustificati motivi. Se gli capitasse di leggere, gli lancerei un accorato appello: “amico, ho il sospetto che la tua cantina versi in condizioni di raro disordine; è piena di cianfrusaglie inutili, che non ti decidi a buttare via. Questo è il momento giusto: magari trovi quel numero di Topolino gelosamente custodito, e mi invii la copia dell’articolo”.

In diverse canzoni di Mimmo sono menzionati i cani, oltre quella citata prima. Ce n’è uno che gli sta morendo tra le mani, in Canzone di sera. Poi dovunque cani che abbaiano: per tutto e per niente; davanti al portone o alla luna; al vento finchè non ce la fanno più, ma c’è anche la certezza che non sia vero che i cani, se abbaiano non mordono: in questa canzone, 1904, che è la versione italiana di un brano dei suoi amici bernesi, dobbiamo cogliere la metafora. Anche qui si va oltre i quattrozampe, e si parla di pessima gente che, tra le altre nefandezze commesse, i cani li addestrava per mordere e aggredire. (Questa è una mia considerazione: nella canzone non si parla di addestramenti.)

Fin qui i fatti certi; ora passiamo alle intuizioni. Non è difficile pensare che i cani fossero compagni di giochi e di avventure di Mimmo fin dall’infanzia: le case in campagna, i campi, le vigne, sono scenari in cui cani e bambini in libertà, si muovono molto bene. Anche cani da caccia, magari, in un tempo e in una cultura in cui la caccia forse poteva avere un senso che ora, almeno per me, non può avere più. Difficilmente poi, in casa di un veterinario, potevano mancare i cani. Insomma, se non lo so con certezza, mi pare del tutto verosimile ipotizzare la presenza di amici pelosetti, fin dalla più tenera infanzia. Secondo me ci sa fare, Mimmo, con i cani. Ci va d’accordo; preferisce quelli grandi, insomma non ce lo vedo col pechinese, o col barboncino, ma niente vieta di supporre che i piccoli vivano in città, i grandi in campagna.

Non mi rimane che raccontare un sogno: un sogno vero, di quelli a occhi chiusi, non una delle mie solite fantasticherie da sveglia. Si, lo so, i sogni non si dovrebbero raccontare: non è elegante, è terribilmente noioso, (lo so perfettamente: sono una entusiastica estimatrice di Donna Letizia) e coi sogni si corre il rischio di svelare aspetti imbarazzanti di sé, tuttavia ho deciso di correre tutti i rischi possibili e di raccontarlo, questo sogno.

Una notte della prima settimana d’aprile, appena rientrata da Roma, dopo il concerto a teatro.

Appena sveglia l’ho annotato: mi aggiro per una Roma senza molto traffico, ancora assonnata, in un quartiere che è una commistione di strade e monumenti realmente esistenti, ma distanti tra loro. La Basilica di San Giovanni in Laterano prende sottobraccio Via dei Fori imperiali e il Circo Massimo. Antiche stradine acciottolate e pini giganteschi. Ruderi e vedute come di capricci settecenteschi.

Il mio vagare casuale a un certo punto sembra essere finalizzato: devo consegnare qualcosa al Cantante; un pacchetto dal contenuto misterioso: cosa sarà? Arrivo davanti a un’area archeologica molto mal tenuta: arbusti ed erbacce la infestano e la rendono poco praticabile. L’area è parzialmente recintata e ad essa si accede attraverso un cancello arrugginito. D’improvviso si apre, il cancello, e ne esce una moto rombante: ecco il Cantante, in tutto il suo splendore; solo i tratti del volto gli appartengono, per il resto sembra un lottatore di wrestling; molto alto e imponente, ha lunghi capelli biondi fermati da una fascetta celeste, e sopra il costume da wrestling, indossa un ampio manto azzurro e serico. Mi avvista e senza neppure permettermi di aprir bocca (i miei detrattori sostengono sia difficile), avendo capito che ho da fare una consegna, mi lancia un veloce: "Sto andando al lavoro, ora non ho tempo, parlane con la signora, la mia dog sitter, anzi dalle una mano". Si manifesta all’improvviso, la Dog sitter, prima non c’era; è un misto tra la Fata turchina e Jessica Rabbit oversize, e tiene due cani al guinzaglio: uno è un leccatissimo barboncino tinto d’azzurro, l’altro una specie di grosso schnauzer, anch’esso risciacquato con l’azzurrino. Non mi rimane che ubbidire; la Dog sitter si appresta a percorrere una discesa, con i cani al guinzaglio: mi ordina di seguirla, senza mezzi termini e mi mette in mano una paletta e una busta. Il Cantante, dall’alto della sua rombante Harley Davidson, solleva il pollice. OK. Forse ho speranze di lavorare finalmente nel suo indotto. Se non fantesca, raccoglitrice.

Fine del sogno: nei sogni ci sono sempre esperienze reali e cose viste, quotidiano e passato, desideri e qualcosa del nostro personale sottosuolo. Tutto quell’azzurro mi fa ben sperare. Ottimistiche previsioni, ma non per me, per il Cantante che attraversa una seconda giovinezza, pieno di nuovi progetti ed entusiasmo. Speriamo non gli venga davvero in mente di farsi biondo: per il resto, attendo fiduciosa gli sviluppi.










In una prossima puntata: VEDI ALLA VOCE...

martedì 1 novembre 2011

VEDI ALLA VOCE BACI


A uno sguardo superficiale di un osservatore poco attento, Mimmo, uomo spiritoso e cordiale, ma abbastanza schivo, sembrerebbe uno poco amante dello smack smack. Non è uno mieloso, è essenziale, poco incline alle smancerie, per capirci. Invece a volte l’apparenza inganna: i baci fanno parte del suo personale corredo di comunicazione e di esternazione affettiva. I baci più sentiti li porge al pianoforte, durante e al termine dei concerti. Il rituale prevede una accurata pulizia dello strumento con la manica della giacca. Una volta che è bel lustro, le labbra del cantante si posano dolcemente sulla superficie e il pubblico può perfino udire il piccolo schiocco, discreto. Al bacio seguono parole d’amore nei confronti dello strumento compagno di strada, a volte solo per una sera, a volte compagno ritrovato a distanza di tempo. Lo amo questo pianoforte - dichiara Mimmo, e il bacio altro non è che il suggello di una danza d’amore tra pianista e strumento in stretta sintonia.

Il pubblico degli affezionati, lo sa, che c’è la liturgia del bacio e non ne è sorpreso come invece il neofita, che ne è un po' stupito, ma anche colpito e divertito.

Almeno io, la prima volta, dinanzi al corteggiamento, ho provato quelle sensazioni. Non me lo aspettavo. Così come non mi aspettavo di vederlo baciare e abbracciare con fare cordiale e affettuoso, dei ragazzi conterranei giunti in un’altra città apposta per sentirlo. Te lo immagini più tipo da vigorosa stretta di mano, magari da pacca sulla spalla. Nel suo concerto in patria era un trionfo di baci e abbracci, sentiti e commossi, ma lì erano in gioco sentimenti veri e quando ci sono sentimenti veri, anche un carattere un po’ riservato e ritroso a esternare, ne traduce con facilità il linguaggio in gesti concreti.

Usa anche, e anche questo può sorprendere, al termine del concerto, inviare baci in punta di dita al pubblico convenuto. Anche qui devo confessare che se mi avessero raccontato di un Mimmo nell’atto di soffiare baci, non ci avrei creduto. In tutto questo suo baciare, pianoforte, amici, estimatori conosciuti e affezionati, c’è molto rispetto e riservatezza, molta misura. Non l’ho mai visto sopra le righe, mai, mai un eccesso sul palco e nei luoghi in cui è ospite. Qualcuno sostiene di averlo visto, un po’ sopra le righe, ma io mi attengo solo a fatti certi. Certo mi sarebbe piaciuto assistere con i miei occhi a quel concerto in cui, secondo un testimone (ma io a questi dei forum ci credo poco, e poi usano un linguaggio orribilmente sciatto: non gli si può dar troppo credito) complice il freddo e un rosso piemontese corposo, Mimmo si mise a giocare alla rockstar maledetta, ma non ci furono baci.

C’è un video di Pixi Dixie Fixi, durante uno dei tanti concerti in Abruzzo. La canzone si presta sempre a un certo coinvolgimento del pubblico, il clima è sempre allegro. Il cantante, seppur allegro, ha sempre addosso il suo aplomb da primario. La bisura si chiama, dalle mie parti, ed è un termine difficilmente traducibile che racchiude in sé aspetto esteriore, gesti, comportamento. In questo video, molto scadente come qualità, ma ugualmente godibile perché l’audio è buono, Mimmo si produce in una serie di cinguettii di uccellini e bacetti d'amore, così li definisce, e invita il pubblico a fare altrettanto. Alla fine è un tripudio di cinguettii, schiocchi di bacetti, applausi e risate. Lui schiocca, cinguetta, ride e incita il pubblico, ma la bisura da primario è la sua pelle.

Altri baci: l’ho visto chinarsi intenerito a baciare una bimbetta, mandata sul palco a porgergli un serto di fiori. Anche in altre occasioni gli hanno inviato doni per mezzo di bimbette. Si vede che non lo ritengono tipo da fanciulla più cresciuta, fasciata in panni succinti (in genere quelle che consegnano omaggi sono così): meno male.

In occasione di qualche partecipazione a manifestazioni che sono poi passate in tv, essendo uomo di mondo, ha dovuto soffrire un po’ e adattarsi al rito del "bacio mondano" (di quelli che ormai tutti utilizziamo, che consistono in un vago sfioramento di gote e altrettanto vago gesto di sporgere le labbra nell’atto di baciare l’aria: pare ormai di cattivo gusto baciarsi davvero) alla conduttrice di turno, bellissima e vatussa.

Nelle canzoni di Mimmo più che baci si intuiscono abbracci, e sempre, costante, quel desiderio di riscaldare membra gelate. Molto romantico, molto delicato, molto altruista. Tra le righe dei versi, tra le pieghe del cuscino uno può cercare e forse trovare baci e una buona dose di sensualità, assai più intensa e preziosa perché sottesa, mai esibita. Mimmo in questo è maestro e la sua riservatezza, oserei dire il suo pudore, ottengono nell’ascoltatore l’effetto di sollecitare l’immaginazione.

In due canzoni si fa esplicito riferimento ai baci, e sono Fandango e Una vita che scappa. Curiosamente il testo di entrambe non è di Mimmo, ma di un’altra autrice e di un altro autore: Mimmo ha dato il suo placet e ha impresso il suo stile. Il primo è un bacio senza fine fuori dalla città e io confesso che in tante occasioni (ho questa tendenza a immedesimarmi) ho sentito l’esigenza di respirare a fondo, durante l’ascolto; la seconda contiene un’aspirazione a un bacio, a suo volta presago di una notte insonne. A me gli uomini che si lanciano in abbordaggi di qualsiasi natura non sono mai piaciuti, però, da ventidue anni, ho un’autentica passione per questo che ci prova, e più diventa audace nel provarci, più mi seduce. Le canzoni servono anche a proiettarci in una dimensione diversa dalla nostra realtà e dai nostri gusti.

Infine c’è Via di qui. La bocca è un fuoco che scotta/ la tua è come la mia/ in questo gioco violento/ o di innocente poesia. Mimmo, non è prima volta che lo dico, ma ognuno ha i suoi cavalli di battaglia, solo per questa canzone ti concederei un vitalizio: capace di trascinare in un vortice, troppo romantica, e dire che a guardarti senza sapere niente di te, difficilmente può venire in mente che hai tutto questo sangue romantico, e che sei sensibile ai tramonti e a certe atmosfere fosche, fragore di tuoni e onde mugghianti che si infrangono sulla scogliera. Forse per questo a te chiedono se sei mai rimasto intrappolato nel traffico e nessuno oserebbe mai chiederti se sei rimasto intrappolato in una storia d’amore.*** Io non lo farei, ma solo per timore di essere trasformata in un blocco di ghiaccio. Continuo tuttavia a insistere su questo concetto: andare sempre oltre ciò che appare, a volte la bisura non la racconta tutta. Questo in generale; nel caso specifico del nostro cantante, la chiave d'accesso è l'ascolto attento delle sue canzoni: il modo più appropriato per fare la sua conoscenza e anche il più sano per mettersi le ali e per vivere avventure romantiche, senza compromettersi troppo.

***Questa non me la sono inventata. Durante una trasmissione radiofonica a Mimmo è stato chiesto se gli fosse mai capitato di rimanere intrappolato nel traffico. A un altro signore, co-conduttore con la formulatrice della domanda stessa, del programma in questione, è stato chiesto se fosse mai rimasto intrappolato in una storia d’amore. Mimmo ha riflettuto qualche secondo e poi ha esclamato: perché a me nel traffico e a lui in una storia d’amore?

lunedì 24 ottobre 2011

PAESE CHE VAI...


CANTANTE CON IL CAPPELLO CHE TROVI...

Insomma ci ho preso gusto, a farmi fotografare sotto i manifesti dei cantanti con il cappello, in concerto in luoghi più o meno prestigiosi. Il fatto è che quando vedo signori con il cappello, non capisco più niente: la mia discrezione cede il passo a una sfrontatezza senza uguali, che mi fa inforcare gli occhiali se non li ho già sul naso, e mi fa "casualmente" percorrere la strada intrapresa dal signore con il cappello in questione, anche se il mio itinerario sarebbe del tutto opposto.

Nel caso poi, in cui il signore munito di elegante copricapo sia un cantante, non so bene come dire... appiccicato al muro, la situazione si aggrava ulteriormente. Non resisto proprio, e, nonostante la mia ritrosia di fronte all'obiettivo, mi faccio fotografare in compagnia del soggetto in questione. La responsabilità di questo stato di cose, è tutta del Prediletto, che senza di lui, l'interesse nei confronti di cappelli, e relativi cantanti che ne fanno uso, sarebbe quasi irrilevante.

Non mettendo nemmeno per un momento in discussione il fatto che il cappello, come lo porta lui, nessuno, non posso non soffermarmi sulla considerazione che, cantanti e artisti in genere, facciano spesso del cappello il loro emblema. Se ne contano a centinaia, di esempi di cantanti corredati di copricapo, e si potrebbe discettare per ore, non avendo altro da fare, sul perchè e percome sentano l'esigenza di utilizzare questo affascinante accessorio.

Mimmo, cappellini con la visiera a parte, (per me sono come fumo negli occhi) dimostra un certo gusto nella scelta del cappello, e approfitta dei suoi viaggi per visitare i negozi più prestigiosi e forniti. Il cappello, per lui, come sappiamo, è per sua stessa ammissione una sorta di coperta di Linus, che serve a coprire le sue insicurezze durante un concerto. Per il resto, insicurezze a parte, lo indossa per motivi pratici e perchè sa che gli sta veramente bene, anche se finge di essere poco interessato al fattore estetico.

Altri suoi colleghi, tra le centinaia citati prima, stranieri e italiani, non sempre dimostrano lo stesso buon gusto, ma, va da sé, spesso artista fa rima con eccentrico. Se ne vedono di tutti i colori, o meglio di tutte le fogge: colbacchi, a latitudini non siberiane, cappelli da Napoleone, copricapo da mago e da buffone di corte, cappellini militari e cappellini etnici e via di seguito.
L'importante è come uno canta e suona e come si propone al pubblico, siamo tutti d'accordo, però è innegabile l'importanza dell'impatto visivo. A me quelli conciati in modo troppo strambo non piacciono troppo, però, putacaso, a Mimmo dovesse venire in mente di indossare un copricapo di pelle d'orso, (sintetico) oppure, e la sto sparando grossa nella speranza che capiate perchè, una bandana, orrore degli orrori, io giuro che ci passerei sopra e diventerei una strenua sostenitrice della bandana.

Chi è il Signor Cantante della foto? - potrebbe domandarsi qualcuno. Fino all'altro giorno per me era un completo sconosciuto e anche per molti altri, qui, immagino. In Spagna è una gloria nazionale, ha un nome molto lungo, ma è noto come Raphael, e penso di poter sostenere senza tema di essere smentita, che si collochi nel solco della tradizione melodica del suo paese, dove miete successi da circa cinquant'anni. Voce potente e repertorio sentimentale. La sua ultima fatica si intitola Te llevo en el corazón.

Abito nero e cappello a parte, non credo ci siano molte analogie artistiche tra Mimmo e Raphael, almeno così, a un'analisi non troppo approfondita. Magari ce ne sono di altro tipo: niente esclude che Raphael possa produrre Rioja, o essere attento lettore di poesia, o tenere, di tanto in tanto, apprezzate lezioni-concerto in prestigiose università. A proposito, e la lezione di Mimmo? Le cronache ufficiali confermano che ci sia stata, la lezione, anche al cospetto di eminenti esponenti delle istituzioni.
Non raccontano come sia effettivamente andata, che riscontro abbia avuto, ma questo sono le mie antenne, che raramente captano segnali sbagliati, a raccontarmelo con dovizia di particolari: splendidamente, con Mimmo un po' formale (ma non ingessato), perchè il luogo e il ruolo lo esigeva, e lui è attento al luogo e al ruolo, e al contempo emozionato. Più tardi, se le mie fonti hanno detto il vero, ci si è sganciati un po' dal protocollo in un luogo bellissimo, l'ideale per permettere alle emozioni di fluire liberamente: una enoteca. Che bei luoghi, le enoteche, e le cantine...


Altrettanto liberamente fluiscono le mie parole, quando la fonte d'ispirazione è Mimmo, perchè, Te llevo en el corazón, Cantante, come direbbe Raphael. Non mi vergogno neanche un po' a dirlo, sapete, anche se talvolta sento un leggero peso, al cuore.

Auspici per un futuro prossimo: io che preparo un piccolo bagaglio per un altro minuscolo viaggio; la meta è un altro concerto di Mimmo. Prometto che non lo pedinerò, nonostante il cappello, ne' insisterò per farmi fotografare insieme a lui, a patto che ripulisca il tamburo dalle ragnatele, e canti Il treno della notte. Ogni volta che vedo delle foto in cui la sta cantando (bellissime quelle dei suoi amici di Spoltore) mi viene un'invidia, ma un'invidia...

lunedì 17 ottobre 2011

DRUM BUN, CǏNTĂRÈŢ!

Come avevo già scritto, i due ultimi impegni di Mimmo, il concerto al Teatro Valle Occupato e la lezione-concerto all’Università de Vest di Timisoara, avevano suscitato, più di altri, il mio interesse. Non avevo previsto che tra i due concerti, potesse esserci un nesso, e invece, scava e riscava...

Il primo ha una forte connotazione politica e solidale; Mimmo e con lui un gran numero di artisti, hanno abbracciato la causa del Teatro Valle Occupato. http://www.teatrovalleoccupato.it/

I lavoratori dello spettacolo, artefici dell’occupazione, portata avanti con coraggio e determinazione, l’hanno fatto divenire luogo di dibattito costante e laboratorio di spettacolo aperto e permanente, diventando protagonisti di una lotta che va ben al di là delle problematiche dei singoli, e del singolo caso, per rappresentare l’emblema di un discorso veramente più ampio: focalizzare l’attenzione sulla politica culturale italiana. La cosa è nota, e purtroppo drammaticamente vera: nei confronti della cultura, nel nostro paese, paradossalmente ricchissimo di beni culturali materiali e immateriali, alla cultura nelle sue varie espressioni, si dedica poca attenzione e altrettanto pochi fondi, come dimostrano i tagli feroci costantemente apportati .

Accade che a distanza di pochi giorni dal concerto al Valle, Mimmo sia invitato, giovedì 20 ottobre in una Università rumena per una lezione-concerto. Non è nuovo, Mimmo, a questo genere di esperienze, da cui personalmente sono, anche al di là di lui, molto attratta. Riferendomi a lui, ricordo quella trasmessa in diverse occasioni in televisione, che ho seguito con immenso piacere e che seguirei ancora, nonostante ormai conosca a memoria quanto Mimmo, seduto al pianoforte della sua casa di campagna, ha raccontato. Lezione-concerto era anche quella all’Unical, a Cosenza. Da ciò che ho visto e sentito nei video registrati in quella circostanza, si respirava un’aria davvero speciale e il Cantante è riuscito a coinvolgere pienamente un pubblico giovane, ma evidentemente motivato e felice di essere lì, cioè non presente solo perché magari la partecipazione poteva essere foriera di crediti. Anche le esperienze in Svizzera, a Stans, e in Germania, a Regensburg, credo possano ritenersi delle lezioni-concerto, essendo state inserite all’interno di un discorso analogo: senz’altro erano momenti di manifestazioni più ampie, giornate della cultura e della lingua italiana, in cui la canzone d’autore era uno degli aspetti trattati. In senso lato credo che i concerti di Mimmo, almeno quelli cui ho assistito io, possano considerarsi tutti delle lezioni-concerto, e non certo perché ostenti un tono professorale, (anche se è vero che talvolta interroga: siate pronti!) ma per l’attenzione che pone nel raccontare delle sue canzoni, dei fatti che hanno portato alla loro creazione, di aneddoti, di ricordi, e di tutto ciò che gira intorno alla sua musica e non solo. In alcune occasioni sono stata amichevolmente critica nei confronti di alcune boutades dell’artista, che sono puntualmente riproposte, ma, pur continuando a esserlo per spronarlo a migliorarsi sempre e a riproporsi, per quanto possibile, in modo diverso, è evidente che per forza di cose gli aneddoti si ripetono e anche le battute: amabilmente prevedibile, Mimmo, ma credo che ci siano molte cose che le mie orecchie debbano ancora sentire e il mio senso critico debba ancora ispezionare.

Ha partecipato anche ad alcune edizioni della manifestazione Pergamene in concerto, presso l’Università di Teramo, festa di consegna delle pergamene di laurea, voluta fin dal ’99 (lui c’era) dall’allora Rettore Professor Russi, che di Mimmo era caro amico. Parte importante di tale festa è la musica, con la partecipazione di uno o più artisti. Non so se si sia trattato di vere e proprie lezioni-concerto o di concerti tradizionalmente intesi. Spero solo che i giovani presenti abbiano saputo apprezzare come i loro colleghi di Cosenza. Non lo so, nemo propheta in patria: mi auguro di sbagliarmi, ma mi sono imbattuta in un forum di studenti di quella università, mi auguro una piccola minoranza, che commentava la manifestazione e esprimeva opinioni sugli artisti ospiti, uno in particolare, e dal tipo di considerazioni non mi pare fosse dotata di quel minimo di sensibilità e profondità necessarie per poter apprezzare, senza pretendere di essere chissà chi, le canzoni del nostro autore. Questo fermo restando il fatto che è legittimo che ciascuno abbia i suoi gusti, fatto salvo il buon gusto nell’esprimerli. Mi sono sentita amareggiata, a leggere quel forum, ma non perché voglia ad ogni costo essere paladina del Cantante, che se la cava benissimo senza, ma perché mi intristisco sempre quando mi trovo di fronte a superficialità e desolazione, soprattutto giovanile.

Timisoara, dunque: un altro evento all’interno di un ciclo di manifestazioni che hanno lo scopo di promuovere la cultura italiana in Romania, dove, si tiene in questi giorni, tra il 17 e il 21 ottobre, la “Settimana di promozione della comunità e della cultura italiana”, organizzata dal Consolato Generale d’Italia a Timisoara. Una settimana intera di eventi che si svolgono in varie sedi. Il concerto di Mimmo avrà luogo, nell’Aula d’onore della Biblioteca Centrala Universitara Eugen Todoran, dell’Università di Vest, la terza università del paese. Il pubblico, tra il quale ci sarà anche il Console, leggo, sarà composto in massima parte di studenti e docenti, che conoscono e studiano la lingua italiana, e sono molto ottimista sul gradimento della manifestazione. Sono convinta che Mimmo, con la sua simpatia (non voglio rinunciare ancora una volta a dire quanto sia amabile, spiritoso e simpatico nei suoi concerti, con quel tanto di emozione che qualche volta lo fa “inciampare”, ma lo rende ancora più vicino e gradito al suo pubblico) con i suoi racconti e con la sua voce, conquisterà il pubblico, rumeno e italiano, docente, discente o ad altro titolo partecipante, convenuto nella sala d’onore della Biblioteca. Si tratterrà, in biblioteca, almeno quel tanto per una breve visita guidata, o fuggirà via subito dopo? Io l’ho visitata virtualmente: ha un bel sito, offre tutti i servizi che ormai tutte le biblioteche del mondo con quelle finalità, più o meno offrono, e penso valga la pena visitarla. Ci saranno domande, interventi, sarà un incontro vivo e stimolante?

Mi piacerebbe che Mimmo spendesse qualche parola non solo per annunciare le manifestazioni cui partecipa, ma anche per raccontarle, dopo averele vissute, almeno alcune, anche con poche efficaci pennellate, come talvolta riesce a fare.

A sentir parlare di Timisoara, inevitabilmente il ricordo è andato ai fatti del 1989, l’anno dell’inizio del grande cambiamento nei paesi del socialismo reale. La crudezza di certe dirette televisive.

Mi è anche venuto in mente che Mimmo si è avvalso della collaborazione, in più occasioni, di un quartetto d’archi rumeno. Riascoltate L’attesa, ad esempio: loro ci sono.

Il legame tra le problematiche annesse al concerto al Valle e la lezione-concerto a Timisoara, dove sta? - potrebbe domandare qualcuno - se non si è perso la mia breve premessa. Eccolo: a Timisoara, non il giorno in cui si esibirà Mimmo, ma il giorno prima, il 19 ottobre, sarà presente il Ministro della cultura, (Non ditemi che sto sbagliando, e come si chiama esattamente il ministero, lo so: cultura e basta per brevità) sempre all’interno degli eventi della settimana di cui sopra . Non so se i due avranno possibilità di incontrarsi, ma quale migliore occasione, dovesse accadere, per trovarsi di fronte e discutere in un clima di confronto e dialogo, pur nelle diverse posizioni, di un tema tanto importante quanto l’esigenza di una corretta politica culturale.

Il dialogo è sempre un fatto positivo, solo che non sempre conduce a grandi risultati.

Chissà che ne pensa, Mimmo. Io ad esempio in certi casi, penso: "Con quello non ci voglio neppure parlare; tempo e fiato sprecati". Avrò torto?

Drum bun, Cîntărèţ! che, se il piccolo dizionario che ho consultato stamattina non mi ha ingannato, o se io non ho ingannato lui, dovrebbe significare:

Buon viaggio, Cantante, e Noapte bună.



lunedì 10 ottobre 2011

LA GRATTUGIA DEL MIO CUORE

La scena è la stessa descritta altre volte in circostanze simili, qui dentro: una stanza buia, quando la sera diventa notte, (che faccio, marzulleggio?) silenzio perfetto, una persona sola, in attesa delle prime note di un disco che non ha mai ascoltato, nonostante sia uscito ventisei anni fa. Non ricorda, l’ascoltatrice in attesa, come mai non sia stata tentata dal possesso di quel disco, tanti anni fa. L’unica spiegazione può essere che le canzoni le conoscesse già, essendo già state pubblicate in altri album precedenti. Una sola era inedita, pubblicata in un singolo poco prima, o contemporaneamente. Forse non era ancora pronta, all’epoca, la nostra amica, per raffinatezze come ascoltare un album live, registrato durante un concerto, anche se, certo, sapeva che lì dentro avrebbe trovato delle sorprese. Forse non riusciva ad apprezzarle a pieno, le inevitabili sorprese e varianti di un’esibizione dal vivo, preferendo rimanere legata alle certezze delle versioni originali.

Mimmo nel 1985 le piaceva molto e consumava la cassetta dell’album intitolato con il suo nome, che ancora oggi possiede e custodisce gelosamente. Un suo amico gliel’ha trasformata, quella come altre, e ora, pur non in maniera perfetta, di tanto in tanto la ascolta in mp3. Le cose normali tutte diverse e tutte quante uguali, per niente e per nessuno sotto un cavalcavia, sapessi quante volte mi son messo a pensare e sotto il cuscino ci ho trovato la pace ogni tanto facevano capolino tra altri pensieri, quando proprio non c’entravano niente, e questo fatto non ha smesso di accaderle, ancora oggi, a distanza di tanto tempo. Ora sono molti di più, i versi che le attraversano i pensieri, perché da allora il suo Cantante ha scritto molte canzoni e lei ha imparato a conoscerlo molto meglio. Le mancava quel disco, e forse sarebbe rimasto per lei un mistero, se a qualcuno non fosse venuto in mente di regalarglielo. Il portatore di doni è una persona gentile, ma il suo gesto racchiude in sé anche un intento didascalico e pedagogico: una che si dà un sacco di arie con quelle sue noiose storie sul raggiungimento dello status di somma conoscitrice del Cantante, doveva urgentemente colmare una lacuna profonda, ahi quanto profonda…

Silenzio perfetto, una lunga introduzione musicale, le pare di riconoscere una canzone… Svegliami domattina, che Mimmo utilizza ancora, talvolta come canzone d’esordio di suoi concerti con la band. Si certo, a Penne… All’ascoltatrice pare di provare una sensazione forte, troppo; le ricorda quanto ha vissuto con molte delle canzoni di Clandestina. Certo appare un eccesso, questa sensibilità così esacerbata. In fondo si tratta solo di una canzone. Perché le sembra che qualcuno le pizzichi il cuore, o glielo spelli? Vorrebbe spegnere perché le fa davvero male, il cuore, e non riesce a spiegare del tutto questa ridondanza di emozioni, dove sia il confine tra ciò che le suscita una voce e altri strati profondi, suoi personali, per il quali quella voce funge da amplificatore. Si emoziona sempre, con le canzoni di Mimmo, soprattutto ai primi ascolti, però una cosa così forte, ad esempio, con Idra, o con Sglobal, non è accaduta. Non le sembrava che ci fosse qualcuno lì a torturarla e a spellarle il cuore. Prevaleva più un’emozione estetica, legata alla ricerca e al godimento del bello nelle canzoni, anche se c’era una compresenza di altro tipo di emozioni, ma non così forte. Ha dovuto, l’ascoltatrice, stringere il denti e costringersi a procedere in questa tortura.

Cala la luna, Gli occhi: aiuto! qui si raggiunge sempre un momento alto… Arriva alla fine, a quella trascinante e inaspettata versione rock di Sognadoro, allo stremo delle forze. Ricomincia da capo: va un po’ meglio, il cuore spellato fa meno male, riesce a staccarsi dalla voce del cantante e a lasciarsi trasportare dalla musica, a cogliere l’aria che si respirava al concerto, con il pubblico partecipe e complice. Nota che non ci sono incertezze, che c’è da parte di tutti un gran divertimento, il piacere di cantare e suonare e stare sul palco, con emozione, ma con mestiere e sicurezza. La voce non presenta cedimenti, si nutre dell’energia trasmessa dal pubblico, e la ritrasmette a sua volta. Applausi entusiasti, Mimmomimmo, ma anche Enrico, che lo accompagna in Confusi e in Sognadoro. Le due voci, in quest’ultimo pezzo, si completano splendidamente, ma non si confondono, perché sono talmente diverse che non possono confondersi. L’allegria del Treno della notte, con le sirene della polizia: siamo in una posizione intermedia tra la versione originale e quella estrema di Delitti perfetti. Lo zingaro, con quello special che si spegne in fondo al cuore. Lo sapranno, i ragazzi d’oggi, cos'è uno special?

Notte che cambia la pelle e nasconde tutte quante le stelle: ecco Piove e non piove, da sempre una delle mie preferite, e me la vedo davanti questa notte fatta persona, che nel levarsi il manto scuro, copre le stelle.

1985: anno di impegni e grandi soddisfazioni per lui. Son trascorsi dieci anni dal primo disco, da quel 1975 anch’esso assai denso, in cui aveva tracciato le rotte, come dice lui, della sua vita musicale, professionale e non solo.

Nel 1985, repetita iuvant, sempre che non facciano sbadigliare, partecipa a Sanremo suo malgrado, con la canzone che per tanto tempo è stata una di quelle che mi è meno piaciuta, Buona fortuna. L’ho recuperata in tempi recenti. Partecipa confuso in quel playback che a lui e a Enrico ispira una riuscita canzone, Confusi in un playback, appunto. Il testo è di Enrico, la musica di Mimmo, ma la canzone è frutto di una riuscita fusione tra le due sensibilità; non devono essere mai sconnesse, le due componenti, ma in stretta relazione, per la buona riuscita di una canzone. Certo Enrico, attento alle parole, ha messo in quel “confusi”, più di un significato, tra quelli proposti nel mio prologo. Avrà consultato il Battaglia?

I due simpatizzano, lo sappiamo e ne conosciamo i motivi. Ci sono diverse interviste in cui lo raccontano, anche a distanza di tempo. Nasce un progetto comune, che trova realizzazione in un singolo, (lato A Confusi… lato B Con la memoria: cose già dette…) e nell’album live, dal titolo omonimo, registrato in uno dei concerti del tour estivo di Mimmo, cui Enrico partecipò come artista-ospite. Segue un tour teatrale di successo. Cosa fanno Mimmo e Enrico nel tempo libero? Le cronache narrano di entusiasmanti partite a scacchi, in cui l’uno è degno avversario dell’altro. Li guardo, i due, in vecchie foto di quel periodo. Mimmo spesso con quelle camicie un po’ troppo aperte, e il bavero delle giacche ornato di spillette. Enrico con il suo “boccolo” e gli occhiali, bianchi fanali, che qualche ragazzino porta di nuovo, adesso. L’ho rivisto di recente in una intervista spiritosa: simpatico, in buona forma fisica. Al contrario dell’amico, dice che ci rimane un po’ male se dimostrano di non riconoscerlo, purchè non ci siano troppi eccessi legati al riconoscimento, immagino. Ho saputo che in anni abbastanza recenti E. ha tenuto un concerto a Penne, e ha invitato Mimmo, presente tra il pubblico, a salire sul palco a cantare Con la memoria, memori forse di quell’indimenticabile volta nel 1986, con un ascoltatore d’eccezione.

Dove fu registrato l’album, in occasione di quale concerto, non è dato sapere, almeno io non ne ho trovato traccia nelle mie ricerche. Il lavoro è arricchito dalla presenza di musicisti di rilievo, uno per tutti il bassista Mario Scotti, compianto amico di Mimmo. La foto di copertina ritrae un primo piano di Mimmo molto preso dalla sua interpretazione. L’album è inoltre corredato di altre foto: dei musicisti, dei due cantanti; c’è un dettaglio degli occhi di Mimmo, quegli occhi chiari (ci sono molti occhi chiari, a Penne) chiacchierini, talvolta allegri e scanzonati, talvolta severi e pensosi. Rubandogli le parole: telecamera del cuore, antenne dell’anima, specchio del sogno.

Nel sito di Mimmo, nella sezione “discografia”, trovate la scheda del disco, con le canzoni, i musicisti, ma solo l’immagine di copertina. Inserisco il link dove invece è possibile vedere tutto, occhi chiacchierini compresi.

http://discografia.dds.it/scheda_titolo.php?idt=2163

Grazie a Mimmo, anche di essere la grattugia del mio cuore.

Grazie al mio “Portatore di doni”, che mi offre gentilezze e spunti di scrittura, e non solo.

venerdì 7 ottobre 2011

PROLOGO

C'è uno scrittore greco che si chiama Petros Markaris, intellettuale, sceneggiatore, traduttore dal tedesco di opere teatrali, di Brecht in particolare. La sua notorietà, non so in Grecia, ma fuori sicuramente si, la deve a un personaggio, Kostas Charitos, protagonista di una serie di romanzi gialli, o come usa dire oggi, noir. Lo scrittore racconta di come questo personaggio lo abbia ossessionato per tanto tempo, gli si sia proprio materializzato davanti, con la richiesta pressante di abitare stabilmente nella sua testa e di lì nella carta stampata. Questo a proposito di chiamate, che non sono così infrequenti, a quanto sembra.

Io leggo le avventure del commissario Charitos e di altri suoi colleghi di altri paesi, per altri motivi che non siano gli intrecci e le trame, che anzi a volte trovo faticoso seguire. Qui però non mi attarderò a parlare delle mie letture e delle annesse motivazioni, se non per lo spunto che nello specifico mi offrono. Charitos, e per sua stessa ammissione il suo autore preso per il bavero dal personaggio, hanno la mania dei dizionari. Ne possiedono diversi, e per rilassarsi, aprono i tomi e consultano le voci, traendone un giovamento per la mente e per lo spirito.

Io non ho proprio la mania dei dizionari, cioè non li utilizzo per rilassarmi, ne' ne possiedo, a casa, più di quattro, di italiano, intendo, comprendendo quelli del tempo che fu. Li utilizzo, però, quando voglio approfondire e andare oltre la ricerca veloce nel dizionario online, e questo avviene soprattutto in biblioteca, dove posso accedere a strumenti che a casa non possiedo.

Oggi ho deciso di emulare i miei amici greci, e ho preso in mano un tomo del Grande dizionario della lingua italiana, di Salvatore Battaglia, pubblicat0 dalla Utet, a Torino, nel 1964; esattamente il terzo, Cert-Dag. Ho sentito l'esigenza di approfondire la voce CONFUSO, participio passato del verbo confondere. Deriva dal latino confusus, participio passato di confundere, a sua volta derivante da fundere, versare, e dal prefisso con.

Lungi da me voler riportare integralmente le dotte pagine dove si indaga su confusione e confuso, mi limito a elencare i significati principali della voce.

1) Messo insieme alla rinfusa, disordinatamente, mescolato, frammisto, aggregato ad altri;
assorbito in un tutto, (più o meno omogeneo).

2) Abbracciato, accoppiato. (Accezione letteraria)

3) Non chiaro, indistinto, poco discernibile, torbido, vago, nebuloso, scompigliato, disordinato, arruffato, intricato, incomprensibile.

4) Che non distingue chiaramente, che pensa, opera disordinatamente, senza regole e disciplina.

5) Turbato, preoccupato, smarrito, mortificato, avvilito.

Ti sei confusa? - Potrebbe obiettare qualcuno - Guarda che questo è il tuo spazio-cantante.
Si, non ho difficoltà ad ammetterlo, sono confusa, in una o più delle accezioni elencate prima, ma non al punto da non tenere presente dove mi trovo a scrivere adesso.

Ho semplicemente voluto trovare un modo per introdurre un argomento che con Mimmo ha attinenza, come ne ha con un regalo ricevuto solo due giorni fa. Non poteva non offrirmi lo spunto per scrivere, questo regalo, che per una che vive di pane e Mimmo e ahimè, anche di molto altro companatico, costituisce una tessera fondamentale del mosaico che non vorrei mai ultimare, dal titolo Sviscerare Locasciulli.

Questo è il prologo. Entriamo nel vivo la prossima puntata, così accontento anche chi mi dice che i miei scritti sono troppo lunghi e si impiega troppo a leggerli, e se uno non è fan di Mimmo... e via di seguito. Non è vero, ho calcolato, al massimo dieci minuti e ci sono tante altre pietanze nel menù oltre il piatto forte. Il fatto è che occorre essere lettori allenati e anche interessati, altrimenti ci si stanca presto, perchè oltre che lunghi sono anche un po'... densi. A me non piacciono le minestre annacquate, ma le zuppe dense e corpose, come quelle che sa preparare Mimmo. (Volete la ricetta?)

domenica 2 ottobre 2011

ACCADE CHE UN GIORNO...

Ritratto di signora:
C'è sempre chi ha un cerchio alla testa
Chi ha un buco nel cuore
(Svegliati amore, Mimmo, 1995)

Ho sempre mal di testa, sarà l'umidità
o forse il chiodo fisso di non averti qua
(Un signore di Genova, che nel 1989 aveva pubblicato il suo primo, bell'album: dentro c'è anche questa canzone)

Accade che un giorno, un giorno non ancora nato, perchè è quasi l'alba, ma è ancora notte, una signora blogger con il bioritmo scompigliato, ma anche con un bel po' di cose quotidiane e poco interessanti da fare prima di uscire, si alzi e accenda il computer per una rapida panoramica. Non è che abbia mille attività, quella signora, nel web. Aveva un blog, regalo di un'amica molto addentro a quei mezzi espressivi, a lei che ne era del tutto estranea e anche diffidente, e l'ha soppresso, sorpresa di come la cosa non l'abbia per niente fatta soffrire. Si era registrata in un famoso social network e, non essendo un'artista cui può essere utile per la comunicazione e la promozione, le sembrava del tutto inutile e pochissimo gratificante esserci, e anche da lì - ciao - è uscita. Le è spiaciuto un po' non essere più fan del Cantante, (solo lì) ma alla fine ogni volta che "postava" qualcosa si poneva il problema se fosse opportuno, e ora non ha più la tentazione di "metterci cose" possibili cause di disagio o di irritazione. Le sono rimaste le sue caselle di posta elettronica, non sempre brulicanti di cose elettrizzanti, che utilizza perchè comunicare per iscritto le sembra congeniale, e il suo piccolo spazio, quello preferito, quello che se lo sopprimesse, forse, le dispiacerebbe. Quello spazio le ha permesso di realizzare una cosa alla quale non aveva mai pensato prima, un contatto virtuale con uno sconosciuto-noto, uno scambio di pensieri tra un soggetto che scrive e un oggetto destinatario, a sua volta soggetto, che, suo malgrado, legge. Suo malgrado perchè forse, per natura, artista quanto vuoi, narcisista il tanto che basta, una cosa del genere, fatta da una sconosciuta, se gliel'avessero offerta avrebbe risposto "Grazie, a posto così".
Fosse stato il progetto monografico di un addetto ai lavori accreditato, magari...



Lo vede, la signora, il suo oggetto-soggetto, mentre legge le cose che lo riguardano, o che dovrebbero riguardarlo. Lo vede che scorre veloce le righe. Lo vede cercare il suo nome, quando c'è, e andare dritto allo scopo principe, che è quello di appurare che non ci sia niente di "dannoso" o "lesivo" nei suoi confronti. Normale essere un po' diffidenti, quando si è personaggi pubblici, normale controllare che non ci sia qualche squinternato che scriva chissà che su di te. Qualche volta lo vede sorridere, qualche volta nota il suo volto adombrarsi, qualche altra percepisce un moto di irritazione, altre di noia. Qualche altra volta ancora lo vede blandamente gratificato, qualche altra, assai rara, altrettanto blandamente intenerito. Lo vede, comunque. Forse fa una semplice operazione di trasferimento di possibili atteggiamenti suoi in una situazione del genere, perchè ci piace pensare di essere empatici, ma forse semplicemente attribuiamo ad altri, nostri possibili comportamenti in circostanze simili.



Accade che dunque un giorno, qualche giorno fa, questa signora trovi un commento notturno, un commento anonimo. Non gliene importa niente di filtrare i commenti, che, piaccia o no, non è che fiocchino (questo non vuol dire che questo blog non abbia misteriosi lettori affezionati, dagli esordi, che però non lasciano tracce) quindi prende tutto ciò che arriva, purchè non siano insulti, e non ne sono mai arrivati.



Questo commento parla di due canzoni, citate nel post, di due cantanti, e dice delle cose di fatto assai pertinenti sull'una e sull'altra. Una pare un adattamento etc etc, l'altra è del tutto originale, e via di seguito. Se a un bambino sveglio mettessimo di fronte i testi delle tre canzoni citate nel post e gli chiedessimo di trarne delle conclusioni, opportunamente sollecitato, forse arriverebbe alle stesse considerazioni dell'anonimo. Questo non vuol dire che siano considerazioni infantili, ma abbastanza scontate. Basta leggere i testi per capire come stanno le cose: una canzone è stata scritta prima; ha un testo originale, e si rifà alla canzone tradizionale solo nel senso che è in dialetto, e ne ripropone il titolo, con bel vola in più. La seconda canzone è stata scritta qualche anno dopo, appare palesemente come un adattamento italiano del testo abruzzese, si intitola allo stesso modo. Ciascuno ne tragga le conclusioni che vuole. L'amico anonimo (non può che esserlo, amico, uno che si prende la briga di entrare, leggere un pezzo lungo e commentare) ha tratto le sue. L'altro amico anonimo bis, pure.
Ci si potrebbe porre una domanda, al di là del caso in oggetto: l'originalità di un testo è sempre garanzia di un prodotto artisticamente più valido rispetto a uno non del tutto... originale?


Domanda evidentemente provocatoria, e forse anche un po' sciocca, non lo so. Lungi da me, in questo e in altri casi, fare classifiche, anche se talvolta può accadere di cascare nella trappola. Non voglio fare classifiche, ne' confronti, anche perchè l'artista oggetto del blog, quello che legge annoiato e sbadigliante, o sorridente, o veloce, a caccia dell'errore o dell'impertinenza, è totalmente al di là, si pone su un piano a sé. Mi ha suscitato qualcosa che nessun altro artista avrebbe mai potuto e potrà mai più suscitare: sono quelle stranezze, quelle anomalie, che hanno luogo una tantum. Per fortuna di quelli a cui non capiterà e per sventura, ahimè, di quello a cui è capitato.



L'anonimo butta un po' di sospetto sul fatto che i due artisti in questione siano ancora amici. Lo fa con una piccola preposizione latina dentro parentesi e un punto interrogativo.

La fine di un'amicizia, o l'incrinatura di essa, spesso ha a che vedere con il tradimento di un sentire comune. Viene meno l'unità di intenti e di vedute e si soffre molto, quando accade.

Se quanto suggerisce l'amico anonimo fosse vero, io al di là della lepidezza scritta per smorzare il tono, nel mio commento (che nascondeva davvero una più che fievole speranza) ne sarei dispiaciuta, perchè un'amicizia che finisce, o che incomincia a manifestare crepe, forse fa più male di un amore che presenta gli stessi problemi, o fa male allo stesso modo, e son dolori forti.



Certo questo anonimo deve essere bene informato, oppure millanta, o vuole forse lanciare una piccola provocazione e divertirsi un po': tanto ora la boccalona grafomane coglie la palla al balzo e inizia a salmodiare. Infatti.

Il mio artista, noto per essere l'uomo riservato che sicuramente è, non credo sia tipo da raccontare certe cose ai quattro venti. Nelle interviste, anche recenti, quando gli chiedono, e glielo chiedono spesso, di che parlino con F., risponde "Poco di musica, molto di poesia e di letteratura, di cinema." Oppure, molto simpaticamente, assai di recente "Mangiamo e beviamo" che è sempre la cosa migliore. Uno mette l'olio, l'altro il vino.



Nella sua pagina del social di cui sopra appare la pagina ufficiale di F. con tante altre di artisti che gli interessano. In ogni caso, brancolo nel buio, ma, se ne sapessi anche molto di più, eviterei accuratamente di fornire ragguagli sulla questione e su altre questioni di quest'ordine. In ogni caso, tra il vedere e il non vedere, eviterò, in futuro, avendolo già fatto ampiamente in passato, in assoluta buonafede, e ahimè negli ultimi scritti, di far riferimenti all'artista F.. Eviterò anche accuratamente di "recensire" il suo concerto prossimo venturo, qui. Se non ci fosse stato quel commento, forse, in assoluta buonafede, lo avrei fatto, almeno per inciso. Ci andrò con uno stato d'animo un po' malinconico, a quel concerto, perchè quell'ombra, vera o presunta, un po' mi immalinconisce.


Ammettiamo per assurdo: si può rovinare un'amicizia per una canzone? O forse la canzone, ammettiamo ancora per assurdo, potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso, o, per usare una metafora più dotta, che credo sia ascrivibile a un autore tedesco molto da intellettuale, che il nostro artista conosce bene, potrebbe rappresentare la seggiola sul collo di Atlante che già regge il mondo. Abbiamo sufficientemente elucubrato, e magari elucubrato sul nulla.



Cosa c'è dietro una canzone? Un'immagine fotografata per strada, un appunto su un foglietto, un pensiero inciso nella mente, un metaforico salvadanaio pieno di metaforiche monetine accumulate nel tempo, o di files salvati nella memoria, uno scavo profondo dentro di sè o un fatto di cronaca, il sorriso di una persona, o un ricordo lontano, una folgorazione improvvisa... Il desiderio di colpire chi ascolta, di sedurre, di lanciare un messaggio, di divertire, per qualcuno di far pensare, di suscitare emozioni... un'urgenza creativa e un mettersi in gioco, o semplicemente la ricerca di un successo facile con un pubblico di bocca buona, la fama, un utile meramente economico.



Ci può essere questo e molto altro; può anche essere semplice routine, un lavoro come un altro, anche se diverso.

Ciò che non bisognerebbe mai dimenticare è che dietro le canzoni ci sono quelli che le scrivono, che sono persone, che certo conducono una vita particolare, gratificante e stancante al contempo, privilegiata quanto si vuole, ma persone, con sentimenti, amarezze, grandezze, miserie, aspettative, sofferenze, delusioni, ferite, strappi, debolezze, momenti di euforia e momenti di stanchezza. Persone: di questo non ci si dovrebbe mai dimenticare.


Cercherò di non dimenticarlo.

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